Questo è il mio articolo pubblicato oggi sull’Eco di Bergamo.

Non è più irriguardoso, a quanto pare, interrogarsi sulla funzione del cattolicesimo politico. lo dimostra l’interessante dibattito sviluppatosi sulle pagine de «L’Eco di Bergamo» dopo l’editoriale del suo direttore, Alberto Ceresoli, pubblicato lo scorso 2 aprile con il quale si poneva la questione su quale debba essere oggi il ruolo dei cattolici impegnati in politica.

È evidente che non parliamo di cattolici come di categoria o blocco sociale a se stante. Il pluralismo delle scelte è figlio della lunga stagione post conciliare e nessuno intende invalidarne le ragioni. Tuttavia nemmeno ai tempi di Sturzo e poi, distintamente, a quelli di De Gasperi, era intervenuta la legittimazione teorica del monolitismo, trasponendo l’unità dal piano ecclesiale al piano politico. Il Ppi nacque sulla base della rivendicata condizione di ‘aconfessionalità’, mentre la Dc, a seguire, costruì la sua rappresentanza non come partito ‘dei’ ma partito ‘di’ cattolici. Fu la capacità di proposta e iniziativa, specie all’indomani della seconda guerra mondiale, a garantire il successo di un gruppo dirigente di matrice democratica e popolare.

Oggi la differenza che si avverte a livello di senso comune sta soprattutto nella evidenza materiale di un sospetto, psicologico prima che politico, per il quale si teme la configurazione di un qualche organismo artificiale, senza presente e senza futuro, aggrappato strumentalmente all’identità cristiana. Finita la Dc, sono fioccate le iniziative che in nome della ‘rifondazione’ hanno prodotto un effetto di frustrazione. Per questo i più responsabili hanno sempre mirato a tenere basso il volume, se così si può dire, per non contribuire alla spettacolarizzazione della inconsistenza politica.

Eppure, come ricorda il direttore Ceresoli, emerge dalla società un’attenzione tutta nuova verso la questione cattolica, fino ad auspicare il rilancio di un partito a base identitaria cattolica. “Secondo un recentissimo sondaggio di Youtrend per SkyTg24 (datato il 13 marzo scorso), per 24 italiani su 100 «c’è bisogno di un partito forte che faccia esplicito riferimento ai valori cattolici» (54 su 100 non ne sentono il bisogno, 22 su 100 non si sono espressi)”. Questo è il dato che Ceresoli invita ad esaminare, dando per scontato che un sondaggio non è mai una verità assodata.

Come si spiega, in ogni caso, questa fiducia nei cattolici? Gioca a mio parere il senso di sradicamento che vive uno strato consistente di elettorato, complice un sistema forzatamente bipolare per il quale la radicalizzazione costituisce la nomale formula di competizione politica. Ora però viene detto che i cattolici non possono e non debbono essere identificati con il marchio di fabbrica del moderatismo, essendo per parte loro piuttosto febbrili nel mettere a verbale un’istanza di rinnovamento integrale. Questo, d’altronde, è il messaggio che discende dalla visione pastorale di Papa Francesco. I cattolici dunque non avrebbero nulla da obiettare all’insorgere di un sano e ragionevole radicalismo. Di qui, come ben si può intendere, il tentativo di piegare la vocazione riformatrice a un servizio per conto terzi.

Certo, i cattolici non possono accettare di essere classificati all’interno di quel moderatismo che appartiene agli ignavi. E tuttavia, se la dialettica bipolare ha favorito in questi anni la negatività di spinte centrifughe, allora i cattolici hanno il dovere di vagliare con molto scrupolo l’appello alla ‘radicalità’. Il rischio è che si scivoli nella ripetizione infantile di desideri incongrui con la responsabilità della politica. Ecco pertanto la forza di questo sollecito, ampiamente rilevato dal sondaggio, a mettere in cantiere la definizione di un nuovo protagonismo di quanti non disdegnano di chiamarsi ‘democratici e cristiani’ (con tutte le mediazioni del caso).

L’Italia ha bisogno di ritrovare il suo ‘centro’ magari a dispetto, in prima battuta, di questa mancanza di centro in ambito propriamente politico. Cosa dobbiamo attenderci e perché occorre essere pronti? Non è detto che l’equilibrio scaturito dalle elezioni dello scorso anno regga all’urto di prove altamente impegnative. La guerra, le migrazioni, gli enormi squilibri economici (locali e globali), l’emergenza ambientale, la minaccia di un mondo a una dimensione, quella della tecno-scienza e del post-umanesimo; ecco, questo ed altro ancora, richiede un supplemento di consapevolezza circa la responsabilità dei cattolici come autentici portatori di speranza. Il compito più immediato è disporsi all’ascolto, gli uni degli altri, imparando a recuperare il senso della fiducia reciproca. La sinodalità s’irradia anche sulla scena mondana e riorienta l’azione del politico.  Ciò lascia intendere che possa innescarsi un principio di ricomposizione politica, andando oltre la tentazione di limitarsi alla denuncia dei mali del mondo.