Il conflitto esploso in Francia ci porta al cuore del problema che oggi grava sulle nostre democrazie. La risposta al populismo non può essere l’oltranzismo di un potere senza capacità di ascolto e quindi senza misura, tanto da cadere nell’arroganza. Il “marzo parigino” mette sotto accusa un modello, quello semi-presidenziale inventato da De Gaulle, che pure mantiene tutele ed equilibri ai fini di un corretto funzionamento delle istituzioni. A parte però l’ingegneria istituzionale, circola nel mondo una voglia pazza, specialmente della Destra, di rompere le regole: si pensi a Trump, tornato sulla scena politica americana con toni minacciosi, ma anche a Netanyahu, in Israele, con le piazza in rivolta contro la sua riforma della giustizia. Qualcosa di malato cova nel tessuto del conservatorismo radicale.
Vogliamo l’attenzione alla Francia. L’ex Presidente Hollande si è espresso in modo chiaro: “Oggi una larga parte della Francia non contesta solo una riforma, perché è ingiusta e brutale. Denuncia un sistema decisionale che non è più conforme alle aspirazioni del Paese, e che non propone soluzioni per migliorare il funzionamento della democrazia. Per uscire da questo conflitto non basterà riesaminare la questione delle pensioni, ma rispondere al bisogno di dialogo, di riconoscimento. Di fronte alla collera, l’altra parola chiave è la distensione, il ritorno alla calma” (Corriere della Sera, (25 marzo 2023). È un’analisi impietosa e veritiera.
Su questa scia si muove anche Alain Minc. In un’intervista che appare oggi su Repubblica rincara la dose, denunciando i limiti dell’attuale inquilino dell’Eliseo: “Macron non riesce a entrare nella logica di costruire una coalizione. Vuole affiliazioni personali, basate sul suo fascino. Non funziona più, prima di tutto perché non è rieleggibile. Il suo potere continuerà a diminuire. La vera questione sarebbe stata quella di aprire una trattativa per recuperare una trentina di deputati, facendo un contratto di governo. Il problema è che non è nella natura di Macron. Quindi, secondo me, si trova in un’impasse”.
Dunque, istituzioni forzatamente piegate alla logica della governabilità e politiche incentrate sul predominio del leader sono le due facce della stessa luna; ovvero, nel concreto, di una luna che costituisce la metafora di una democrazia incapace di tornare alle sorgenti di se stessa, dando così al popolo la netta sensazione di un malsano procedimento di emancipazione dei gruppi dirigenti dalla regola del consenso e, implicitamente, dalla cultura della mediazione.