La mia impressione è che sui diritti legati alle cosiddette “famiglie arcobaleno” si cerchi la rissa piuttosto che il dialogo. Alla pubblica opinione si trasmette un messaggio che non corrisponde alla realtà: i diritti, specie per i figli, sono ampiamente riconosciuti. Semmai, dietro anche la manifestazione di Milano, c’è il desiderio di estendere alcuni confini che la legge contempla a mo’ di argine verso abusi e reati. Il problema, dunque, è più delicato.

Non mi ha mai convinto l’idea che la gestazione per altri (GPA) sia una pratica ascrivibile a una sana evoluzione dei costumi. L’utero in affitto è una miseria, qualcosa che umilia ed offende le donne, una pratica irrispettosa della dignità umana. Che alcuni stati abbiano a riguardo delle norme accomodanti, non significa che l’Italia debba accodarsi a un modello che suscita tante e robuste perplessità sul piano etico.

La legge dice che è reato. Si può definire diversamente? A me non pare. Il rischio è che la scarsa chiarezza su questioni essenziali, risalenti a principi normalmente riconosciuti validi, generi arbitrio e confusione. Per questo il confronto, laddove permetta di individuare forme corrette di perfezionamento delle norme, richiede una civile orchestrazione, per evitare la logica degli insulti.

Una democrazia vive di conflitto, ma il conflitto esige tolleranza. Spesso si applica la regola contraria, visto che i “difensori dei diritti” pretendono di classificare tutti gli altri come “aggressori del diritto”. È evidente che si faccia, attraverso un metodo siffatto, più danno di quanto s’immagini. L’auspicio pertanto è che si abbassino i toni e si ricerchi insieme una migliore organizzazione delle tutele e quindi dei diritti, se tali possano essere considerati, in base ad un esame più accurato. In alternativa finiamo tutti per accentuare la cacofonia (o la cagnara) di una politica degradata.