Il vento non si ferma con le mani. Qualcuno pensa che sia in atto un maneggio di opinioni, artatamente organizzate e distribuite, per archiviare il ‘sogno democratico’: purtroppo non è così, anche se ci abbiamo creduto in molti, resistendo a lungo sulla frontiera della leale collaborazione, questo ‘sogno’ è finito inesorabilmente. L’elezione della Schlein ha messo il sigillo sulla disillusione di massa.
Il maneggio semmai consiste in una operazione contraria, quella proiettata a illuminare una scena di sostanziale consenso alla svolta del Pd, con motivazioni anche serie e ponderate, ma politicamente deboli. Circola, ad esempio, un documento (“Chiesa dei poveri, Chiesa fuori”: verso l’impegno politico“) firmato da alcuni cattedratici, prevalentemente bolognesi, che cerca nelle pieghe del Concilio di spiegare come e perché residui l’opportunità di preservare l’esperienza del Pd.
Cosa dice, nel punto centrale, questo documento? Ecco il passaggio interessante: “L’attitudine cristiana alla carità e alla solidarietà oggi non basta: è necessario ricostruire con urgenza e sapienza un progetto comune valoriale politico fra l’insieme delle culture progressiste. In questo auspicabile cammino, in cui è centrale il Partito Democratico per le sue origini e le capacità aggregative, esiste un ampio spazio d’azione per cristiane e cristiani che vogliono ispirarsi al Concilio e all’insegnamento di papa Francesco, insieme portatori della profezia di giustizia e pace”. Orbene, questa bella affermazione non può essere appiccata per aria, astrattamente, come i concetti disposti a mo’ di ‘caciocavalli’ di cui si faceva beffe Benedetto Croce.
Il problema è che a non bastare più è la logica della “identità plurale” dal momento che non ha dato esiti positivi, anche e soprattutto nel giudizio degli elettori. Il partito unico del riformismo ha fallito per mancanza di precisi ancoraggi culturali e politici, scivolando sempre più nel pantano del pragmatismo (con una intonazione, ben chiara nella retorica della nuova leadership, di tipo radicale. Ecco perché si moltiplicano gli appelli a cercare altre soluzioni, anche immaginando la formazione di nuovi ambiti di rappresentanza politica.
Quel che serve non è un misconoscimento del riformismo, ma un suo diverso racconto e dispiegamento nella società italiana, per fare in modo che il cattolicesimo democratico abbia l’opportunità di giocare in spirito di apertura e collaborazione, come sempre è avvenuto nel corso della sua storia (da Sturzo a De Gasperi e a Moro), sebbene con la capacità di rivendicare la propria autonomia politica e organizzativa. I “Tempi Nuovi” che si annunciano richiedono, a questo punto, di rimettere a tema la questione di un partito che abbia un connotato sufficientemente conforme alla vocazione democratica e cristiana.