Si tirano i cattolici per la giacchetta. Ci sono molte cose vecchie nel dibattito in corso sulla loro dislocazione politica. In genere si tende a liquidare, con una punta di fastidio, l’emergere di un sentimento collettivo che fa premio sulla reazione ai rischi d’insignificanza nel campo della politica. Bisogna, dunque, aprire lo sguardo su questa improvvisa – ma forse covata a lungo – insofferenza.

Al tempo stesso, corrono però valutazioni e giudizi che riportano indietro le lancette dell’orologio. Lo si coglie nella perdurante pretesa di classificazione del “giusto” posizionamento dei cattolici. A parole si celebrano le ragioni del pluralismo, nei fatti si opera a far sì che una certa declinazione del messaggio cristiano concluda a favore di una determinata area politica. Operazione anche valida e corretta, se fosse sempre sorretta da solide argomentazioni.

C’è chi pensa, ad esempio, che i cattolici dovrebbero essere “di sinistra”, per loro intrinseca predisposizione morale e culturale, collocandosi perciò in quel bacino a cui fa riferimento il Pd. Anzi, finanche andando oltre il Pd. Anche ieri, questa evidente forzatura veniva riproposta da Franco Monaco sul Fatto Quotidiano. Il titolo suonava addirittura perentorio: “Cattolici democratici e Schlein, la via maestra la indica il Papa”. Ed è su questo che non sono affatto d’accordo.

È un discorso lungo e complesso, che merita un vero sforzo di approfondimento. Qui dico solo che oggi i cattolici, a larga maggioranza, avvertono l’esigenza di essere in primo luogo se stessi, anche se l’esigenza appare sfuggente è complicata. L’autonomia pare essere la chiave identificativa della nuova postura psicologica e politica dei cattolici. E l’autonomia non può non riguardare la stessa imposizione, spesso orchestrata con argomenti poco persuasivi, circa l’essere di sinistra o l’aderire, meglio ancora, a questa sinistra (ormai condizionata oltre misura dal laicismo radicale). Così non va bene.