Ieri Elena Bonetti, in un lungo post su Facebook, ha dichiarato di “non essere d’accordo con Castagnetti quando afferma che il Pd sia “l’ultimo partito rimasto” lasciando ad intendere che il centro-sinistra, così come costruito e poi cresciuto nel Pd, sia stato e sia l’unico possibile punto di riferimento e di sintesi per l’impegno politico dei cattolici e popolari”. In
alternativa, l’ex ministra della famiglia propone di lavorare alla costruzione di un partito – evidentemente sulla scia di quanto realizzato da Azione e Italia Viva, ma non fermandosi a questo – che dovrebbe essere forgiato alla sensibilità e alle aspettative dei cattolici democratici.

La conclusione appare ancora più stringente e impegnativa: “È il modello stesso di bipolarismo che non funziona: tra centro-destra e centro-sinistra si sono creati due spazi
paralleli e speculari, che hanno diviso i cattolici e l’esperienza cattolica in politica. Questo però rischia di relegare i cattolici al solo compito di riequilibrio di posizioni polarizzate nelle parti. Per questo sono convinta che serva introdurre una nuova dimensione al dibattito politico, che si ponga trasversalmente, e quindi ortogonale, a queste due unilaterali polarizzazioni. Un percorso in cui i cattolici sono chiamati ad essere protagonisti nel processo decisionale, per incidere e guidare la sintesi necessaria”.

Si può essere d’accordo con la Bonetti? Verrebbe da dire che solo dai frutti si riconosce la bontà di una promessa indirizzata a novità politica. Tuttavia, non si tratta di attendere passivamente che si manifesti questa condizione di riconoscibilità, auspicandone la giusta valenza positiva.

Infatti si chiede ai cattolici democratici di uscire da uno stato che potremmo definire di costrizione, generativo di un sentimento di crescente disagio; si chiede loro, in sostanza,
di essere protagonisti di una nuova fase politica. Il problema, allora, è come questo possa avvenire, senza riprodurre diverse ma analoghe forme di debolezza o marginalità.

C’è bisogno di una vera “rinascita popolare” e tutti, se disponibili a questa impresa, hanno l’obbligo di considerare il vincolo di uno “zero alla partenza”, ossia di un atto di umiltà e buona volontà – dunque senza diritti di primazia – per ricostruire dalle fondamenta l’edificio politico che un domani non molto lontano possa rappresentare degnamente la nuova casa dei cattolici democratici.

Rigore e gradualità, di questo abbiamo bisogno. E ci dobbiamo ricordare infine, specialmente in questi giorni, di un assillo che Moro sentiva forte a proposito del “semplicismo” sempre incombente sulla politica. L’errore è credere che si realizzi
un progetto, di per sé suggestivo, con qualche formuletta di rito.